Scuola e Costituente

Recensione a Ferdinando Bernini, Scuola pubblica e libertà di insegnamento davanti alla Costituente, Modena, 1946. «Europa Socialista», a. II, n. 2, 2 marzo 1947, pp. 14-15.

SCUOLA E COSTITUENTE

Tra i problemi che già in sede di sottocommissione durante l’elaborazione del progetto di Costituzione hanno piú chiaramente precisato le posizioni antitetiche vive sotto l’apparente piano di concordia a cui abili tattici frequentemente si riferiscono nel gioco insieme complesso e infantile di una politica di «parole» non sempre aderenti alla loro sostanza, quello della scuola ha tenuto uno dei primi posti anche se i termini della contesa non furono portati alla loro vera tensione ed anche se molti deputati delle sinistre non si sono resi ancora chiaro conto della posta che è in gioco entro i sapienti appelli alla libertà, ai diritti dei genitori, alla preformata responsabilità del fanciullo. Si ha anzi l’impressione che la questione sia in gran parte sentita confusamente piú nei suoi aspetti generici e in un generico sospetto di una sopraffazione incombente che non per l’esatta sua morfologia, per i suoi pericoli nella loro esatta configurazione. Si sente da parte dei rappresentanti dei partiti di sinistra che c’è un avversario cui di diritto, per tradizione spetta un’abilità ed una costante volontà di successo per un dominio non solamente celeste, ma nello stesso tempo si ignora da parte di molti la storia del problema, gli sfaccettati e variabili aspetti in cui una costante meta è stata perseguita, il tranello delle parole che in una certa mentalità sembrano davvero create non per esprimere ma per celare e mascherare il proprio pensiero. In generale tutti sanno come le dottrine di natura dogmatica utilizzino i metodi della libertà fino al conseguimento del “monopolio” combattendo strenuamente contro gli stessi metodi quando la libera concorrenza favorirebbe gli avversari; ma questa verità generale deve essere concretata se si vuole giungere a giudizi precisi e a posizioni di lotta – leale e democratica, ma lotta – se si vuole in un momento cosí decisivo non cadere nel tranello delle parole e non adoperare le armi spuntate di una retorica sorpassata.

Ebbene nei limiti della nostra responsabilità attuale un aiuto della coscienza del problema della scuola ci è offerto dal volumetto del compagno Bernini. Premettiamo che il punto di vista di Bernini risponde con rigore a una volontà di aderenza concreta ai termini attuali del problema senza il ricorso esplicito ai principî che vengono tenacemente calati nelle loro possibili realizzazioni, fuori delle quali appaiono allo studioso non solo retorici, ma perfino politicamente dannosi in una lotta molto ravvicinata e strettamente puntualizzata anche se sullo sfondo del piú grandioso contrasto ideologico. Si potrebbe desiderare un’impostazione piú generale e piú ancorata a premesse teoriche, ma a parte il fatto che il libro parte come preciso strumento di lotta immediata, si può pensare che la forma mentis antiastratta di Bernini corrisponde in questo caso ottimamente al bisogno di ottenere il massimo entro le linee obbligate di una realtà esistente in cui prese di posizione non piú rigide, ma piuttosto indicate come tali, potrebbero operare effetti contrari a quelli sperati, contrari a quella difesa della scuola pubblica nazionale che le forze progressiste della cultura italiana sentono come loro compito immediato. E quando si dice scuola nazionale appare chiaro che come sarebbe inutile e non aggiustata una proclamazione di formale laicismo (ma il Francia il m.r.p. Schumann non ha adoperato proprio la parola «laïque»?) ancor piú inutile sarebbe ed ipocrita negare a noi stessi che la difesa si effettua precipuamente nei riguardi delle forze democristiane che da una particolare situazione politica vogliono trarre i massimi vantaggi, appoggiando i vantaggi già sapientemente ottenuti con una pratica di governo e con una lettera di costituzione che possa piú facilmente una tale pratica autorizzare.

Non sono tanto i primi paragrafi piú generici che conducono al 1815, quanto la parte seguente nutrita di citazioni qualificate e strategiche, a darci il valore preciso del contributo apportato dal libro e a mostrare anche ai profani la costanza della Chiesa nella sua volontà di occupare nel campo scolastico un posto di assoluta preminenza o di assoluto dominio.

Cosa fosse la scuola negli Stati italiani (e non solo in quello pontificio) è naturalmente noto, ma è sempre utile enucleare alcuni fatti fondamentali che spesso sfuggono alla labile coscienza storica del mondo politico. E cioè che nella Restaurazione nessun conflitto si aprí fra gli stati e la Chiesa dato che i primi contavano proprio sulla educazione impartita dal clero nelle scuole pubbliche per ottenere il «suddito» intimamente liberato dalle tentazioni di un pensiero non conformistico e capace di pericolose deduzioni politiche e che allora la Chiesa fu risoluta avversaria della scuola privata di cui non aveva evidentemente alcun particolare bisogno rappresentando anzi, se non rigidamente controllata, la via di pericolose imperfezioni nel corpo sociale, un attentato possibile al rigido idillio dell’«ordine» temporale e spirituale.

È nella scuola dello stato unitario liberale e già negli ultimi anni del Piemonte cavourriano ed è proprio all’insegna di un liberalismo concreto, cosciente delle reali possibilità di libertà che si apre la querelle scuola pubblica – scuola privata, scuola dello stato e scuola confessionale. Ed ecco che i rappresentanti della corrente cattolica dal progetto di legge D’Ondes Reggio in poi adeguarono la loro posizione al mutamento della scuola di stato e cominciarono a battersi per la piena libertà d’insegnamento avvalendosi senza risparmio delle armi che un’ideologia combattuta sugli altri piani poteva fornire loro rinforzando nella sua formale polivalenza l’esigenza confessionale di una formazione organicamente cattolica fuori di pericolosi contatti nel rifiuto di ogni interna dialettica. Attraverso il costante progresso delle parificazioni e le concessioni dello «Stato educatore» di Gentile, l’assalto ininterrotto della Chiesa trova una solida barricata per ogni possibile ripiegamento nel Concordato e nella formula del relativo articolo 36, «L’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione l’insegnamento della dottrina cristiana, secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica». Formula che va immediatamente connessa con l’abile svolgimento datone da Pio IX nell’enciclica Della cristiana educazione della gioventú secondo cui «perché una scuola sia conforme ai diritti della chiesa e degna di essere frequentata da alunni cattolici, sarebbe necessario che tutto l’insegnamento e tutto l’ordinamento delle scuole, insegnanti, programmi e libri, in ogni disciplina siano governati dallo spirito cristiano, sotto la direzione e la vigilanza materna della Chiesa».

Le dichiarazioni del piú autorizzato assertore delle idee cattoliche vengono anche illuminate nel disegno di Bernini dalle glosse del gesuita Barbera che deduce con molta bonaria disinvoltura i risultati pratici di una democratica costituzione scolastica: scuole elementari ai Comuni, esame di Stato con commissione interna e una o due commissioni governative (forma piú semplice e agevole) e contributo dello Stato alle scuole religiose affinché gli alunni debbano sopportare una spesa pari a quella che sostengono negli istituti statali. E in appoggio a ciò, gli scrittori di parte cattolica investano nel loro nuovo liberalismo la loro dottrina della famiglia, organismo naturale precedente lo Stato, derivante il suo diritto di educazione della prole direttamente da Dio, donde l’alta equivalenza di scuola paterna e scuola cattolica. E ciò, secondo Bernini «è logico se affermato in nome della trascendenza. E la trascendenza è degna d’ogni rispetto, purché non tenti di celare se stessa e la sua qualità sotto un apparente liberalismo, anzi individualismo, appellandosi al diritto dell’uomo all’istruzione e all’educazione» (p. 59). Maschera della vera dottrina dogmatica ed esclusivistica per cui l’inno appassionato alla libertà della scuola (e non neghiamo che in molti cattolici la confusione fra interesse confessionale ed entusiasmo della libertà sia del tutto spontanea o poco calcolata) ha un solo senso davvero interessante per la storia concreta del popolo italiano: la concorrenza alla scuola pubblica da parte di una scuola cattolica la cui formazione di giovani si fonda proprio sui principî stessi per cui in altri tempi la Chiesa avversò ogni tipo di libertà d’insegnamento per la coerente certezza di un’assoluta opposizione della verità e dell’errore. E d’altra parte, se non si vuole giocare sulle parole, libertà per chi? Quale partito, quale confessione, quale associazione ha in Italia la possibilità di sostenere delle scuole? Solo la chiesa con i suoi ordini religiosi, con i suoi beni materiali. A parte qualche esemplare di scuola di parte e molti casi di quella scuola di speculazione (la scuola come industria) in cui istruzione ed educazione vengono ridotte in pillole utilitarie per gli esami e tutte le nobili tesi dell’individuo e delle famiglie verrebbero abbondantemente irrise in nome della cattolica libertà d’insegnamento. La posizione democratica e concretamente socialista (poiché in realtà è tempo di dire che fra noi un socialismo autentico eredita e invera i principî, il «ciò che è vivo» del vecchio liberalismo risorgimentale) di Bernini viene cosí a farsi da storica combattiva rifiutando con la massima energia quella che è la maggiore richiesta degli attuali difensori della libertà di insegnamento cattolico: il sussidio statale alle scuole private, detto anche «ripartizione scolastica», «ove l’ottenessero avrebbero vinto in pieno la loro battaglia» (p. 79). Cosa avverrebbe infatti in quel caso?

Le scuole confessionali appoggiate a potenti ordini religiosi avrebbero una larga superiorità di mezzi rispetto alle scuole statali, le scuole di pura speculazione si accrescerebbero con un sicuro scadimento del livello culturale scolastico.

Libertà d’insegnamento, ma soprattutto libertà nella scuola di tutti dove i giovani non siano soggetti ad una formazione chiusa, dogmatica, inevitabilmente intollerante, e nel periodo dello sviluppo dell’uomo non sia turbato il delicato equilibrio fra ricettività e affermazione della personalità, non sia impresso dall’esterno un marchio che renda doloroso e difficile ogni svolgimento spirituale. Non derivanti da un assurdo agnosticismo (nessuna posizione può essere in assoluto agnostica), ma anzi da un vivo senso della vita e della cultura, le indicazioni che un socialista può dare in un momento decisivo per il nostro paese, affinché la giustizia e la libertà non siano ancora motivi di inganno del popolo, si appuntano alla coscienza degli italiani che in questi giorni lavorano alla definizione della nuova costituzione repubblicana e precisano un fronte di battaglia comune ad uomini di ideologie diverse, ma che dovrebbero sentir comunque viva l’origine democratica e l’istanza risorgimentale: «Gli antichi liberali della destra, agli albori del nuovo Stato unitario, con rara sapienza ed equilibrio, fissarono i principî secondo i quali si resse per molti anni la Scuola italiana. Forse, per strano gioco della fortuna, avverrà che coloro i quali dicono di ripetere la loro origine da quelli, votando alla Costituente, siano per il delicato equilibrio delle forze, arbitri delle sorti della Scuola. Non avvenga che, obbedendo a paure e a calcoli, non ne rinneghino l’essenza e gli attributi, sí che essa non sia deformata in senso politico o confessionale e per una legge di circolarità ne sorga proprio lo Stato illiberale, cioè rinnegatore delle libertà».